Miscellanea

In questa sezione: tumori cerebrali, tumori endocrini, tumori dell'osso, e altro.

Saturday, December 09, 2006

TUMORI DEL GLOMO CAROTIDEO
Il glomo carotideo è una formazione sita a livello della biforcazione carotidea. Le cellule che lo costituiscono derivano sia da elementi mesodermici del terzo arco branchiale, che da cellule ectodermiche della cresta neurale; tessuti simili si ritrovano a livello della vena giugulare, del nervo vago, dell’arco aortico e del sistema nervoso autonomo. Sono state descritte neoplasie a livello di tutte queste sedi, e i tumori che ne derivano sono detti paragangliomi o chemodectomi; il tumore del glomo carotideo è il più comune fra questi, con un’incidenza comunque inferiore allo 0.5% di tutti i tumori (incidenza di circa 1 caso su 30.000 abitanti per anno). Il glomo carotideo contiene terminazioni nervose che partecipano, con quelle di altre aree, alla regolazione della respirazione, della frequenza cardiaca, del calibro dei vasi e della contrattilità del cuore.
I tumori del glomo carotideo possono insorgere ad ogni età, ma la maggior parte dei pazienti ha tra i 30 e i 40 anni; le regioni più colpite sono quelle che si trovano alle grandi altezze, come la Bolivia e il Messico, poiché l’ipossia cronica comporta iperplasia delle cellule del glomo. Anche soggetti fumatori, con BPCO, cardiopatie croniche, e altre condizioni di ipossia cronica hanno una maggior probabilità di sviluppare tumori glomici.
La gran parte di questi tumori ha carattere benigno; la percentuale di malignità non supera il 25%, e in alcune casistiche è quasi nulla. Le metastasi, qualora presenti, sono quasi sempre regionali; tra gli organi a distanza, colpiti molto raramente, il polmone è la sede più interessata. Esistono evidenze a supporto di una familiarità per i tumori glomici, e i geni responsabili potrebbero essere localizzati a livello dei cromosomi 5, 7 e 11. I tumori del glomo carotideo possono presentarsi associati ad altri paragangliomi, specialmente nei casi con evidenza di familiarità; in una piccola percentuale di casi si ritrovano nell’ambito di una sindrome poliendocrina (MEN di tipo II).

Clinica e diagnosi. La sintomatologia può essere a lungo silente, poiché i tumori del glomo hanno tipicamente una crescita lenta. Le prime avvisaglie in genere derivano dall’effetto massa e dalla compressione da parte del tumore di strutture vicine. Il paziente può lamentare cefalea, presenza di una massa a livello del collo, vertigini, ipoacusia, acufeni, disfagia, raucedine, sincope, sindrome di Bernard-Horner, cecità transitoria. Molto spesso è presente un soffio laterocervicale, indicativo di una generica “stenosi carotidea”. Il tumore è pulsante, ed è mobile solamente in direzione laterale, non cranio-caudale (segno di Fontaine). Al contrario dell’aneurisma, non è espansibile. Le suddette caratteristiche possono essere utili per evitare di confondere la massa con altre patologie, come accade in molti casi. La diagnosi è spesso casuale, e avviene nel corso di esami effettuati per altre ragioni. Quando è il sospetto clinico a indirizzare il medico, questi può effettuare:
- eco-color-Doppler dei vasi del collo (esame di prima istanza, non invasivo, permette di rilevare una massa ipervascolarizzata e di definirne le dimensioni)
- angiografia (sebbene oggi esistano mezzi meno invasivi, rimane l’indagine più ricca di informazioni; è quindi utile in previsione dell’intervento, specialmente quando il tumore è grande e si voglia embolizzarlo preoperatoriamente)
- angio-TC ed angio-RM (non sono in grado di sostituire pienamente l’angiografia, quindi nella maggior parte dei casi la affiancano, risultando utili soprattutto per valutare l’infiltrazione degli organi vicini)
- scintigrafia con 111In (utile per la diagnosi e la localizzazione di tumori neurosecernenti, anche quando si sospettano localizzazioni multiple; inoltre consente di vedere se il tumore presenta recettori per la somatostatina, caso in cui è possibile trattare il paziente inoperabile con farmaci specifici)
La biopsia va invece evitata, perché la pericolosità di cui è gravata si accompagna ad un valore diagnostico irrisorio.
Il tumore ha una attività neurosecernente nel 5% dei casi, per cui occorre effettuare sempre il dosaggio degli ormoni tiroidei, delle catecolamine urinarie e plasmatiche, delle metanefrine urinarie, dell’acido vanilmandelico, dell’acido omovanillico e del 5-HIAA. Quando l’attività è presente, l’associazione con altri paragangliomi è più frequente, per cui è doveroso andare alla ricerca di questi.

Classificazione di Shamblin.
- Tipo I (tumori piccoli, con scarsa adesione alla carotide, clivabili)
- Tipo II (tumori più grossi, con discreta aderenza alla parete arteriosa e parziale coinvolgimento dell’origine della carotide interna ed esterna)
- Tipo III (completo coinvolgimento della biforcazione, con notevole adesione alla parete arteriosa, difficilmente clivabili)

Terapia. La maggior parte degli Autori predilige il trattamento chirurgico, per la tendenza di questi tumori alla crescita progressiva e a danneggiare le strutture vasculo-nervose; non da sottovalutare è anche il possibile comportamento maligno. Altri Autori, proprio per via della crescita lenta, sostengono il trattamento embolico e radiante, anche associato, per evitare possibili lesioni iatrogene (emorragie importanti, lesione di strutture nervose, sindrome da disfunzione dei riflessi barocettoriali in soggetti operati bilateralmente). Tuttavia la radiosensibilità di questi tumori è molto limitata, per cui la radioterapia in genere si riserva a tumori molto grandi, o multipli, in pazienti in condizioni generali scadenti. Infine vi è il trattamento con Octreotide, analogo della somatostatina, che si può utilizzare nei pazienti inoperabili che presentano la positività dei recettori nel tumore; il blocco dei recettori consente di ridurre le dimensioni del tumore e di controllare la sintomatologia.

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