Miscellanea

In questa sezione: tumori cerebrali, tumori endocrini, tumori dell'osso, e altro.

Tuesday, December 12, 2006

TUMORI RETROPERITONEALI
Lo spazio retroperitoneale è uno spazio virtuale a primario sviluppo mesodermico, compreso tra il peritoneo parietale e le pareti posteriori della cavità addominale e pelvica. Si estende dal diaframma al coccige, continuandosi in basso con lo spazio sottoperitoneale, lateralmente con lo spazio di Bogros ed il tessuto adiposo pre-peritoneale, in avanti con il mesentere ed il mesocolon, in alto e medialmente con il mediastino. Contiene molti organi: duodeno, pancreas, reni, surreni e tessuto adiposo che li circonda, aorta addominale, arterie iliache, tripode celiaco e arteria splenica, vasi renali, vena cava inferiore, vene iliache, vene mesenteriche (alla confluenza con porta e vena splenica) catene linfonodali (cisterna del Pequet), catene simpatiche lombari, plesso lombare e sacrococcigeo.
I tumori del retroperitoneo sono rari (0,07-0,2% di tutti i tumori), ma in età pediatrica sono relativamente più frequenti (5% delle neoplasie solide in questa epoca). Per definizione, non sono compresi i tumori che originano dagli organi compresi nel retroperitoneo (es. duodeno, reni).
Sono invece compresi:
- tumori mesenchimali (75-80%), in particolare del tessuto adiposo
- tumori neuroectodermici (shwannomi, feocromocitomi, neuroblastomi, neurinomi, ecc…)
- tumori embrionali (da residui dei canali di Wolff e Müller, da residui embrionali ectopici, dalla notocorda)
- teratomi
In genere non c’è ereditarietà per queste neoplasie, che per lo più hanno carattere maligno e si manifestano come grosse masse tendenti all'invasione di tessuti ed organi vicini. L'incidenza di metastasi linfonodali è bassa, mentre è più comune la metastatizzazione per via ematogena. L'istologia è spesso incerta e ha carattere evolutivo.

Clinica. Il paziente può lamentare dolore lombare sfumato, persistente, gravativo o lancinante, talora irradiato lungo le radici nervose, e spesso vi è una massa palpabile (segni del “contatto lombare” e del “ballottamento”). Possono comparire segni digestivi (vomito, disturbi di transito, emorragie digestive), urinari (disuria, ritenzione di urina, ematuria), neurologici (sciatalgia, paralisi, paraplegia), segni e sintomi di interessamento venoso (edemi degli arti inferiori, trombosi acuta, embolia polmonare, varicocele, ascite), ripercussioni generali (perdita di peso, febbre persistente a carattere ondulante), e sindromi paraneoplastiche di vario tipo.

Diagnosi:
- marcatori tumorali
- Rx diretta addome (opacità calcificate)
- urografia (compressione a carico delle vie urinarie)
- esame contrastografico del tubo digerente (possibile interessamento)
- ecografia, laparoscopia, retroperitoneoscopia (per eseguire agoaspirazione)
- TC e RM (stadiazione)

Terapia: in genere si pratica l'exeresi chirurgica. Chemioterapia e radioterapia si utilizzano nelle neoplasie sensibili, ad esempio nel neuroblastoma infantile, altrimenti si ottengono scarsi risultati a causa dell’elevato volume delle masse. La sopravvivenza media a 10 anni è del 20-40%.

Saturday, December 09, 2006

TUMORI DEL GLOMO CAROTIDEO
Il glomo carotideo è una formazione sita a livello della biforcazione carotidea. Le cellule che lo costituiscono derivano sia da elementi mesodermici del terzo arco branchiale, che da cellule ectodermiche della cresta neurale; tessuti simili si ritrovano a livello della vena giugulare, del nervo vago, dell’arco aortico e del sistema nervoso autonomo. Sono state descritte neoplasie a livello di tutte queste sedi, e i tumori che ne derivano sono detti paragangliomi o chemodectomi; il tumore del glomo carotideo è il più comune fra questi, con un’incidenza comunque inferiore allo 0.5% di tutti i tumori (incidenza di circa 1 caso su 30.000 abitanti per anno). Il glomo carotideo contiene terminazioni nervose che partecipano, con quelle di altre aree, alla regolazione della respirazione, della frequenza cardiaca, del calibro dei vasi e della contrattilità del cuore.
I tumori del glomo carotideo possono insorgere ad ogni età, ma la maggior parte dei pazienti ha tra i 30 e i 40 anni; le regioni più colpite sono quelle che si trovano alle grandi altezze, come la Bolivia e il Messico, poiché l’ipossia cronica comporta iperplasia delle cellule del glomo. Anche soggetti fumatori, con BPCO, cardiopatie croniche, e altre condizioni di ipossia cronica hanno una maggior probabilità di sviluppare tumori glomici.
La gran parte di questi tumori ha carattere benigno; la percentuale di malignità non supera il 25%, e in alcune casistiche è quasi nulla. Le metastasi, qualora presenti, sono quasi sempre regionali; tra gli organi a distanza, colpiti molto raramente, il polmone è la sede più interessata. Esistono evidenze a supporto di una familiarità per i tumori glomici, e i geni responsabili potrebbero essere localizzati a livello dei cromosomi 5, 7 e 11. I tumori del glomo carotideo possono presentarsi associati ad altri paragangliomi, specialmente nei casi con evidenza di familiarità; in una piccola percentuale di casi si ritrovano nell’ambito di una sindrome poliendocrina (MEN di tipo II).

Clinica e diagnosi. La sintomatologia può essere a lungo silente, poiché i tumori del glomo hanno tipicamente una crescita lenta. Le prime avvisaglie in genere derivano dall’effetto massa e dalla compressione da parte del tumore di strutture vicine. Il paziente può lamentare cefalea, presenza di una massa a livello del collo, vertigini, ipoacusia, acufeni, disfagia, raucedine, sincope, sindrome di Bernard-Horner, cecità transitoria. Molto spesso è presente un soffio laterocervicale, indicativo di una generica “stenosi carotidea”. Il tumore è pulsante, ed è mobile solamente in direzione laterale, non cranio-caudale (segno di Fontaine). Al contrario dell’aneurisma, non è espansibile. Le suddette caratteristiche possono essere utili per evitare di confondere la massa con altre patologie, come accade in molti casi. La diagnosi è spesso casuale, e avviene nel corso di esami effettuati per altre ragioni. Quando è il sospetto clinico a indirizzare il medico, questi può effettuare:
- eco-color-Doppler dei vasi del collo (esame di prima istanza, non invasivo, permette di rilevare una massa ipervascolarizzata e di definirne le dimensioni)
- angiografia (sebbene oggi esistano mezzi meno invasivi, rimane l’indagine più ricca di informazioni; è quindi utile in previsione dell’intervento, specialmente quando il tumore è grande e si voglia embolizzarlo preoperatoriamente)
- angio-TC ed angio-RM (non sono in grado di sostituire pienamente l’angiografia, quindi nella maggior parte dei casi la affiancano, risultando utili soprattutto per valutare l’infiltrazione degli organi vicini)
- scintigrafia con 111In (utile per la diagnosi e la localizzazione di tumori neurosecernenti, anche quando si sospettano localizzazioni multiple; inoltre consente di vedere se il tumore presenta recettori per la somatostatina, caso in cui è possibile trattare il paziente inoperabile con farmaci specifici)
La biopsia va invece evitata, perché la pericolosità di cui è gravata si accompagna ad un valore diagnostico irrisorio.
Il tumore ha una attività neurosecernente nel 5% dei casi, per cui occorre effettuare sempre il dosaggio degli ormoni tiroidei, delle catecolamine urinarie e plasmatiche, delle metanefrine urinarie, dell’acido vanilmandelico, dell’acido omovanillico e del 5-HIAA. Quando l’attività è presente, l’associazione con altri paragangliomi è più frequente, per cui è doveroso andare alla ricerca di questi.

Classificazione di Shamblin.
- Tipo I (tumori piccoli, con scarsa adesione alla carotide, clivabili)
- Tipo II (tumori più grossi, con discreta aderenza alla parete arteriosa e parziale coinvolgimento dell’origine della carotide interna ed esterna)
- Tipo III (completo coinvolgimento della biforcazione, con notevole adesione alla parete arteriosa, difficilmente clivabili)

Terapia. La maggior parte degli Autori predilige il trattamento chirurgico, per la tendenza di questi tumori alla crescita progressiva e a danneggiare le strutture vasculo-nervose; non da sottovalutare è anche il possibile comportamento maligno. Altri Autori, proprio per via della crescita lenta, sostengono il trattamento embolico e radiante, anche associato, per evitare possibili lesioni iatrogene (emorragie importanti, lesione di strutture nervose, sindrome da disfunzione dei riflessi barocettoriali in soggetti operati bilateralmente). Tuttavia la radiosensibilità di questi tumori è molto limitata, per cui la radioterapia in genere si riserva a tumori molto grandi, o multipli, in pazienti in condizioni generali scadenti. Infine vi è il trattamento con Octreotide, analogo della somatostatina, che si può utilizzare nei pazienti inoperabili che presentano la positività dei recettori nel tumore; il blocco dei recettori consente di ridurre le dimensioni del tumore e di controllare la sintomatologia.

TUMORI CEREBRALI
In generale i tumori cerebrali hanno una incidenza di 11,5 casi ogni 100.000 abitanti per anno. Colpiscono di più i maschi, salvo i meningiomi e i neurinomi. L’85% dei tumori è dentro la scatola cranica, il 15% è intraspinale. L’incidenza per classi di età varia in base al sottotipo istologico: il più frequente tumore cerebrale maligno negli adulti è il glioblastoma multiforme, mentre il più frequente nei bambini è il medulloblastoma. Per quanto concerne la localizzazione, i tumori cerebrali preferiscono le aree anteriori encefaliche rispetto a quelle posteriori, mentre l’emisfero destro è più colpito del sinistro. La localizzazione delle metastasi da altri tumori è diversa in base all’origine: midollo spinale e vertebre (cancro della prostata), meningi (adenocarcinoma mammario), parenchima cerebrale (altri).

Classificazione. Quella più usata è la classificazione istologica della WHO.
TUMORI NEURO-EPITELIALI (GLIOMI)
1. TUMORI ASTROCITARI
a. Astrocitoma (grado II)
Varianti: fibrillare, protoplasmatico, gemistocitico, misto
b. Astrocitoma anaplastico (grado III)
c. Glioblastoma multiforme (grado IV)
d. Astrocitoma pilocitico (grado I)
2. TUMORI OLIGODENDROGLIALI
a. Oligodendroglioma (grado I)
b. Oligodendroglioma anaplastico (grado II)
3. TUMORI EPENDIMALI
a. Ependimoma (grado II)
b. Ependimoma anaplastico (grado III)
c. Subependimoma (grado I)
Tutti e tre questi tipi, se molto sdifferenziati, possono dar luogo al glioblastoma multiforme (IV grado), in cui non è possibile risalire alla cellula di origine.
4. PAPILLOMA DEI PLESSI CORIOIDEI
5. TUMORI NEURONALI (Gangliocitoma e ganglioglioma)
6. TUMORI DELLA PINEALE
7. TUMORI EMBRIONALI
a. Neuroblastoma
b. Retinoblastoma
c. Medulloblastoma
8. TUMORI DELLE MENINGI
Meningioma
9. TUMORI DEI NERVI CRANICI E SPINALI
a. Schwannoma (Neurinoma)
b. Neurofibroma
10. LINFOMI E TUMORI EMOPOIETICI
Linfoma
Plasmocitoma
11. TUMORI A CELLULE GERMINALI
Coriocarcinoma
Germinoma
Teratoma
Carcinoma embrionale
12. CISTI E TUMOR-LIKE
Tumori dermoidi
Amartomi
ecc...
13. TUMORI DELLA REGIONE SELLARE
Adenoma ipofisario
Craniofaringioma
14. TUMORI CON ESTENSIONE DA AREE CONTIGUE
Tumore ganglio-giugulare
Cordoma
Carcinoma
15. TUMORI METASTATICI

Fattori di rischio. Molti sono supposti, altri derivano da evidenze autoptiche: traumi, infezioni (soprattutto virali), sostanze chimiche occupazionali, radiazioni ionizzanti e campi magnetici, nicotina, benzene, alcol.

Fisiopatologia. La crescita di un tumore dipende dalla sua biologia:
- le neoplasie ben differenziate (es. astrocitoma, oligodendroglioma) crescono abbastanza lentamente infiltrando e spostando le cellule normali e le fibre mieliniche
- le neoplasie più indifferenziate (es. glioblastoma multiforme, astrocitoma anaplastico) crescono più rapidamente fino a superare la capacità dei propri vasi, per cui possono presentare aree di necrosi e di emorragia
Con l’avanzare della crescita, si verifica una compressione delle venule nella sostanza bianca vicina, con alterazione della BEE; le proteine iniziano a filtrare nel parenchima e si sviluppa l’edema vasogenico (localizzato). A livello diagnostico ciò corrisponde a: aumento delle proteine nel liquor, ridotta attenuazione del segnale alla TC, aumento dell’intensità in RM T2-pesata e flair. Con l’aumentare della massa si verificano dislocazioni del parenchima, e poiché l’encefalo è suddiviso in compartimenti dalla dura (falce e tentorio), si possono avere delle erniazioni:
- erniazione subfalcina: il giro cingolato si sposta sotto la falce cerebrale, di solito è associata a compressione di rami dell’arteria cerebrale anteriore (infarto della parte mediale del lobo frontale)
- erniazione transtentoriale: la massa sposta lateralmente il talamo e il mesencefalo (sonnolenza!! stupor!!), e spinge la parte mediale del lobo temporale contro il margine libero del tentorio del cervelletto; il peduncolo cerebrale è compresso contro il tentorio (segno di Babinski positivo omolateralmente!!), e vengono spesso compressi il III nervo omolaterale (dilatazione pupillare, impedimento dei movimenti oculari dallo stesso lato della lesione) e l’arteria cerebrale posteriore (danno ischemico della corteccia visiva primaria); inoltre sono frequenti emorragie secondarie del mesencefalo e del ponte (emorragie di Duret)
- erniazione tonsillare: dislocazione delle tonsille del cervelletto attraverso il foramen magnum; tende a dare rigidità nucale precoce, e porta a morte per compressione del tronco cerebrale e compromissione dei centri respiratori

Clinica. In generale si presentano con una di queste manifestazioni:
- deficit neurologici focali generalmente subacuti (da compressione da parte del tumore o da parte dell’edema perilesionale)
- disturbi neurologici non focali (cefalea, vomito a getto, demenza, alterazione della personalità, disturbo della marcia, alterazione della coscienza, papilledema) dovuti all’aumento della pressione intracranica o all’idrocefalo, oppure alla localizzazione in particolari aree dell’encefalo
- crisi epilettiche (per tumori vicini alla corteccia)
Tuttavia possono essere anche asintomatici, soprattutto i meningiomi, e in tal caso il reperto può essere casuale. La sintomatologia generale (perdita di peso, astenia, febbre) depone più per una metastasi che per un tumore primitivo.

Diagnosi.
- Clinica (oggi ha relativamente poca importanza)
- TC e RMN con e senza MdC (permettono di valutare sede ed estensione, edema perilesionale, effetto massa; la presa di MdC depone per una lesione molto vascolarizzata)
- SPETTROMETRIA in RMN (indica le sostanze presenti all’interno della massa; una elevata quantità di colina depone per un elevato turnover cellulare e quindi per un alto indice mitotico)
- PET e SPECT (evidenziano un incremento del metabolismo nel tumore)
- ANGIOGRAFIA (può essere utile nelle neoplasie molto vascolarizzate)
- BIOPSIA (in ultima analisi se le precedenti metodiche hanno fallito)

Astrocitomi. Sono le neoplasie intracraniche più comuni (20%), si parla di:
- astrocitomi benigni (I e II grado)
- astrocitomi maligni (III e IV grado)
Tuttavia questa terminologia non è molto corretta, perché il concetto di malignità e benignità nei tumori del SNC è poco attuabile; è meglio ricorrere ai termini "alto grado" e "basso grado" oppure "aggressivo" e "non aggressivo". I criteri per stabilire il grading di un astrocitoma sono: anaplasia e numero di mitosi, proliferazione vascolare e necrosi. Queste caratteristiche aumentano dal I al IV grado della WHO:
- I GRADO: astrocitoma pilocitico giovanile
- II GRADO: astrocitoma
- III GRADO: astrocitoma anaplastico
- IV GRADO: glioblastoma multiforme
La prognosi è molto negativa anche per i tumori a basso grado (sopravvivenza 5-10 anni per i tumori a basso grado, 5 mesi per i tumori di IV grado). Gli astrocitomi vedono 2 modalità di progressione: una a cadenza ordinata di eventi, che dalla cellula di origine porta al glioblastoma multiforme mediante il passaggio dall’astrocitoma e dall’astrocitoma anaplastico. Una seconda che porta direttamente e rapidamente dalla cellula di origine al glioblastoma multiforme. Le mutazioni coinvolte nelle due modalità di progressione sono diverse, e coinvolgono sia oncogeni che oncosoppressori. La stragrande maggioranza degli astrocitomi dei bambini è a basso grado, mentre la maggior parte di quelli dell’adulto è a basso grado, in concordanza con l’ipotesi patogenetica. Le metastasi al di fuori del SNC sono rare, mentre più comuni sono le metastasi liquorali. L’infusione del MdC nei primi 2 gradi non è seguito dalla presa (scarsa vascolarizzazione). TC e RM evidenziano l’effetto massa, ma spesso la valutazione di estensione è difficile cosi come la diagnosi differenziale con lesioni non neoplastiche. Allora in casi difficili si ricorre alla spettrometria, alla PET o alla SPECT, infine alla biopsia.

Oligodendrogliomi. Incidono nella III e IV decade e colpiscono maggiormente il lobo frontale; possono contenere cisti, calcificazioni e aree di necrosi. Esistono in una forma classica e in una anaplastica.

Ependimomi. Derivano dall’ependima e possono insorgere sia nel cranio che nel midollo (2:1); quando insorgono nel cranio, crescono più nel parenchima che all’interno dei ventricoli. E’ tipica la disposizione delle cellule attorno a un vaso (“aspetto a corona raggiata”); hanno una crescita generalmente lenta anche se esiste una variante anaplastica molto aggressiva.

Terapia dei gliomi. L’escissione dei gliomi è resa difficile dal fatto che di solito non sono né circoscritti né incapsulati; sebbene sia possibile asportare gran parte della massa, soprattutto la parte centrale che è spesso necrotica, la parte periferica si continua con il parenchima vicino in maniera non visibile microscopicamente; pertanto spesso è necessario l’ausilio del microscopio intraoperatorio. Inoltre per aumentare la radicalità si possono aggiungere la terapia radiante neoadiuvante e la chemioterapia. Spesso l’intervento è accompagnato da elettrocorticografia intraoperatoria per monitorare costantemente la localizzazione delle aree critiche (es. area motoria, area del linguaggio), ed evitare in tal modo di lederle. La prognosi varia col grado: 90% di sopravvivenza a 5 anni per l’astrocitoma differenziato, tra 6 mesi e 2 anni di vita per il glioblastoma.

Meningiomi. Sono caratteristici dell’età adulta (45 anni) e colpiscono di più le donne; possono anche essere multipli (es. nelle neurofibromatosi). Di solito sono strettamente adesi alla dura ed hanno una netta demarcazione nei confronti del parenchima, ma spesso e volentieri infiltrano le strutture ossee (ala dello sfenoide, solco olfattorio, fossa posteriore); ciò non è di per sé indice di malignità, qual è invece l’infiltrazione del parenchima tipica del meningioma anaplastico. Originano prevalentemente dalla falce e dal seno sagittale, e di solito raggiungono dimensioni ragguardevoli prima di dare segni o sintomi (cefalea, deterioramento mentale, turbe della personalità, crisi epilettiche, disturbi motori, segni di ipertensione endocranica, disturbi del visus se sono localizzati a livello dell’ala dello sfenoide ed esercitano compressione sul nervo ottico).
Infine possono nascere nel midollo (meningiomi spinali), soprattutto a livello toracico, in sede intradurale, con sintomi da compressione mielo-radicolare. La diagnosi si basa su: TC senza e con MdC (c’è presa di MdC); RMN (anche angio-RMN). Terapia: asportazione della massa e dell’impianto durale (per evitare le recidive), valutazione dell’eventuale infiltrazione ossea (asportazione se è presente) e preparazione del paziente con chemioterapia. La morbidità è bassa (1-5%), ma sono frequenti le recidive (20-30%).

Tumori dell'infanzia. I tumori del cervello sono la seconda neoplasia dell’infanzia, la prima tra i tumori solidi; i più comuni sono i gliomi e i tumori malformativi, mentre gli altri oncotipi e le metastasi costituiscono rarità. La diagnosi iniziale è tardiva a causa di: aspecificità dei sintomi, plasticità del cranio, capacità di compenso da parte del parenchima sano. In generale i sintomi sono suddivisibili in due categorie: generali (da ipertensione endocranica, che nel bambino possono rimanere misconosciuti per lungo tempo, soprattutto al di sotto di 2 anni, quando le suture non sono saldate e la fontanella bregmatica è aperta, consentendo di compensare l’aumento di pressione), e locali (macrocrania, vomito, convulsioni, strabismo e deficit degli arti). La diagnosi si basa su: RMN, TC, ed ecografia se la fontanella è ancora aperta.
Gli istotipi più comuni sono: astrocitoma (soprattutto cerebellare), medulloblastoma, craniofaringioma, ependimoma, germinoma).
Il medulloblastoma è situato quasi sempre nella regione del IV ventricolo, si presenta maggiormente nelle femmine tra 3 e 7 anni. Sebbene sia di origine neuroectodermica, le sue cellule esprimono pochi o nessuno dei marcatori fenotipici delle cellule mature del SN, cosicché viene classificato tra i tumori scarsamente differenziati o embrionari. E’ costituito da cellule piccole, fitte, disposte in “rosette” e “pseudorosette”, ed ha la capacità di dare metastasi per via liquorale. La sopravvivenza è abbastanza soddisfacente (40-70% a 5 anni) e le sequele tardive (ipostaturalità, disturbi psichici e ormonali) sono legate più alla radioterapia che alla chirurgia (si preferisce la chemioterapia prima dei 4 anni).
L'astrocitoma cerebellare è un tumore solido o cistico dalle caratteristiche abbastanza benigne, che tuttavia può crescere verso il IV ventricolo causando idrocefalo. L’andamento dei sintomi è molto lento, e addirittura essi possono comparire a più di 6 mesi dalla diagnosi. La sopravvivenza è alta (75-80%) anche con asportazione parziale; tuttavia, le recidive sono abbastanza frequenti, e l’estensione del tumore verso il tronco cerebrale può limitare le possibilità di escissione.
Il craniofaringioma è il tumore soprasellare più frequente, deriva dai residui embrionali delle cellule squamose del dotto faringo-ipofisario. La sua componente solida tende a comprimere ipotalamo-ipofisi, con segni e sintomi caratteristici (deficit visivi e disturbi ormonali). Sebbene istologicamente sia benigno, è molto frequente una recidiva a 2-3 anni per l’impossibilità di asportarlo completamente. Inoltre l’asportazione chirurgica facilita l’insorgenza di diabete insipido e di ipopituitarismo (il peduncolo ipofisario è spesso inglobato dal tumore).

NEUROBLASTOMA
Il neuroblastoma è un tumore congenito derivante dalla cellula primordiale della cresta neurale che migra a formare il SNA secondo due direzioni: plessi simpatici (catena simpatica, paragangli, organo pelvico di Zuckerkandl) e midollare del surrene. Rappresenta il tumore solido più frequente nei soggetti d’età inferiore ai cinque anni. Costituisce il 7-10% di tutti i tumori solidi osservati in età pediatrica e presenta un’incidenza di circa 6-10 nuovi casi/anno/1.000.000 di soggetti d’età inferiore ai 15 anni, in Italia pari a 30 nuovi casi/anno. Il 93% dei tumori è diagnosticato prima dei 6 anni, ed un terzo prima dell’anno di età. La diagnosi è invece eccezionale nell’adolescente e nell’adulto. Caratteristica è la scoperta in epoca prenatale, tramite ecografia. Come possibile fattore di rischio è stata ipotizzata l’esposizione intrauterina all’alcool, all’idantoina ed al fenobarbital. Nel 75% dei casi il neuroblastoma ha sede nel retroperitoneo (50% surrene, 25% paragangli), nel 20% dei casi è sito nel mediastino posteriore, nel 5% dei casi si trova invece nel collo o nella pelvi. Macroscopicamente si presenta come una massa altamente vascolarizzata, di color porpora, spesso solida, occasionalmente cistica, con una capsula friabile, facilmente rotta, che dà luogo a frequenti emorragie durante le manipolazioni intraoperatorie. Il tumore è spesso, almeno in parte, necrotico. Microscopicamente il neuroblasto è una cellula piccola, rotondeggiante, con nucleo ipercromico e scarso citoplasma. Le cellule sono disposte a rosette. Il tumore può diventare un ganglioneuroblastoma (molto maligno) o un ganglioneuroma (benigno). Il 95% dei tumori secerne VMA, HVA (acido omovanilico) e altri metabolici delle catecolamine. L’80% dei tumori presenta anomalie genetiche come la delezione del braccio corto del cromosoma 1 o l’amplificazione dell’oncogene n-myc nel cromosoma 2 (segno prognostico sfavorevole). È stata infine dimostrata la presenza di anticorpi anti-NB in pazienti guariti, nelle madri e nei consanguinei degli affetti. Tra i fattori prognostici si possono annoverare anche la stadiazione (v. infra), l'istologia e l'età del bambino (la prognosi peggiora con l'aumentare dell'età).

Clinica. Il bambino ha di solito aspetto sofferente, una storia di scarso accrescimento, perdita di peso, anemia e talora dolori osteoarticolari. Non infrequentemente i primi sintomi sono legati alla disseminazione metastatica (es. dolori ossei, proptosi oculare con ecchimosi palpebrali, noduli sottocutanei) o a sindromi paraneoplastiche (es. diarrea profusa coleriforme da secrezione di VIP). Infine possono essere presenti segni e sintomi in relazione alla particolare sede della neoplasia, ad esempio massa a sede cervicale confondibile con linfoadenopatia, sindrome di Claude-Bernard-Horner, sintomi respiratori per i tumori a sede intratoracica, sintomi da ostruzione sul retto o sull'uretere ed edemi degli arti inferiori per tumori a sede pelvica. Il tumore in sede paraspinale ("tumore di Dumbell"), penetrando nello speco vertebrale e comprimendo il midollo spinale, può comportare difficoltà alla deambulazione, paraplegia, stipsi e disturbi vescicali.

Diagnosi.
- Esami di laboratorio: routine, raccolta urine 24h per dosaggio VMA, NSE (aumentata in caso di metastasi), LDH e ferritina sierica (aumentata nel NB disseminato), transaminasi (elevate in caso di metastasi epatiche multiple), aspirato midollare.
- Diagnositica per immagini: Rx torace-addome, Rx scheletro, scintigrafia ossea, ecografia addominale o pelvica, TC addome, torace, collo e pelvi (calcificazioni 85%), RM, scintigrafia con MIBG I131 (metaiodobenzilguanidina, utile soprattutto nel postoperatorio per vedere se l’intervento è stato radicale).

Stadiazione.
- Stadio I: tumore confinato all’organo o tessuto d’origine.
- Stadio II: tumore che si estende per continuità altre l’organo o tessuto di origine, ma che non oltrepassa la linea mediana; i linfonodi contigui possono essere coinvolti.
- Stadio III: tumore che oltrepassa la linea mediana con o senza metastasi ai linfonodi regionali di entrambi i lati.
- Stadio IV: metastasi alle ossa, ai linfonodi extarregionali, al midollo ed ai tessuti molli.
- Stadio IV-S: tumori allo stadio I e II ma con metastasi confinate ad uno o più dei seguenti organi: fegato, cute, midollo osseo senza interessamento della corticale ossea.

Terapia. Il trattamento è alquanto aggressivo e si avvale di un approccio integrato tra chirurgia, polichemioterapia e radioterapia (total body irradiation). L'autotrapianto di midollo permette di utilizzare dosi di farmaci che non sarebbero normalmente tollerate. Immunomodulatori ed anticorpi monoclonali sono ancora in fase sperimentale. Molto interessante è considerata oggi la radioterapia con MIBG I131 che, iniettata per via endovenosa, viene captata dalle cellule del neuroblastoma, ove la metil-guanidina è un metabolita essenziale per la produzione di catecolamine; si tratta quindi di un trattamento selettivo contro le cellule neoplastiche.

Sopravvivenza a 5 anni. Stadio I 100%; stadio II 78%; stadio III 43%; stadio IV 15%; stadio IV-S 80%. La sopravvivenza media a 5 anni è del 50-55%.

FEOCROMOCITOMA
È un tumore delle cellule cromaffini (localizzate principalmente al surrene, ma anche a livello dei paragangli e dei gangli simpatici), cellule in grado di sintetizzare e accumulare catecolamine. Rientra tra le cause di ipertensione secondaria, con una prevalenza dello 0,1% nell'intera popolazione ipertesa. Incide massimamente tra i 30 e 40 anni di età. Esiste in 2 forme:
- forma sporadica (90%), legata alla mutazione di uno o più oncosoppressori localizzati sul braccio corto del cromosoma 1
- forma ereditaria (10%), trasmessa con meccanismo autosomico dominante, si manifesta prima dei 40 anni, con una età media alla diagnosi di 20 anni; della forma ereditaria esistono 4 sottotipi: isolata, MEN 2a e 2b (da mutazione del protoncogene RET, nel cromosoma 10), malattia di Von Hippel - Lindau (da mutazione dell'oncosoppressore VHL, nel cromosoma 3, caratterizzata da emangioblastomi retinici e del SNC, carcinoma renale, cisti renali e pancreatiche, cistoadenoma dell’epididimo) e neurofibromatosi di tipo 1 (da mutazione dell'oncosoppressore NF1, nel cromosoma 17, si manifesta con neurofibromi, macchie color caffè-latte, noduli iridei di Lysch, lentiggini ascellari e inguinali).
La localizzazione del feocromocitoma, come precedentemente anticipato, è prevalentemente ma non esclusivamente surrenalica:
- negli adulti è surrenalica monolaterale nell'80% dei casi, surrenalica bilaterale nel 10% dei casi, extrasurrenalica nel 10% dei casi
- nei bambini le percentuali sono diverse, rispettivamente 50%, 25% e 25%
I feocromocitomi extrasurrenalici si localizzano nel 90% dei casi in sede intraaddominale (gangli simpatici o vescica), mentre nel 10% dei casi hanno localizzazione extraadominale (gangli simpatici del torace e collo).
Di solito il feocromocitoma è un tumore benigno, ma il 10% delle forme surrenaliche e il 40% delle forme extrasurrenaliche può essere maligno. Per la diagnosi di malignità è necessaria la presenza di metastasi in sedi prive di tessuto cromaffine; infatti anche le forme benigne possono presentare segni di displasia ed invasione della capsula. Nelle forme maligne, le sedi più frequenti di metastasi sono l'osso, i linfonodi, il fegato e il polmone.

Forme cliniche.
1) Ipertensione stabile (60-90%) con (50%) o senza (50%) crisi parossistiche
2) Normotensione con crisi parossistiche intermittenti (10-40%)
3) Ipertensione con ipotensione ortostatica (10-50%), a causa della riduzione dei riflessi simpatici e della ipovolemia

Crisi parossistiche. Sono crisi di durata variabile (minuti, ore), scatenate da esercizio fisico, movimenti del corpo (chinarsi), minzione, fumo, palpazione dell’addome, gravidanza, anestesia, farmaci (oppiacei, antidepressivi triciclici).
- Sintomi frequenti: CEFALEA, SUDORAZIONE, CARDIOPALMO, PALLORE, NAUSEA E VOMITO, CALO PONDERALE, RETINOPATIA IPERTENSIVA III/IV STADIO
- Sintomi meno frequenti: DOLORE ADDOMINALE, DOLORE TORACICO, POLIDIPSIA, POLIURIA, ACROCIANOSI, ESTREMITA’ FREDDE, VAMPATE, VERTIGINI, TREMORI, CONVULSIONI, DISPNEA, FEBBRE
- Complicanze delle crisi parossistiche: EPISODI ANGINOSI, EDEMA POLMONARE ACUTO, ARITMIE MALIGNE, DISSEZIONE AORTICA, EMORRAGIE CEREBRALI

Diagnosi. Le indagini che valutano i parametri funzionali della midollare del surrene consentono di porre diagnosi nel 95% dei casi. Fondamentale è il rilievo dell’aumento delle catecolamine totali plasmatiche, dell’adrenalina urinaria, della noradrenalina urinaria, dell’acido vanilmandelico e delle metanefrine. Nei casi in cui la diagnosi è dubbia viene effettuato il test di soppressione con clonidina: in caso di feocromocitoma non si osserva una soppressione dei livelli sierici e/o urinari di catecolamine che nel soggetto normale o iperteso per altra natura è maggiore del 50% del valore basale. Per la localizzazione del tumore le indagini fondamentali sono la TAC e la RM; per la localizzazione del tumore e di sue eventuali metastasi in sede extrasurrenale l’esame fondamentale è la scintigrafia con 131I-MIBG. Nei rari casi in cui le indagini sopraindicate non mettano in evidenza il tumore, va eseguito il cateterismo venoso delle vene surrenali, con dosaggio delle catecolamine sul sangue refluo, infine è opportuno eseguire un ecocardiogramma per rilevare la presenza di una eventuale cardiomiopatia. Diagnosi differenziale va posta con le seguenti patologie: tireotossicosi, nevrosi d’ansia, eclampsia, assunzione di simpaticomimetici, crisi ipertensive in occasione di interventi chirurgici, rebound dopo sospensione di clonidina, attacchi di panico, menopausa, carcinoidi. Possibili patologie associate al feocromocitoma: colelitiasi, ipercalcemia, policitemia, iper-ipofunzione corticosurrenalica, diabete mellito, rabdomiolisi (per eccessiva vasocostrizione).

Terapia medica.
- Crisi ipertensive: fentolamina 5 mg EV (ripetibili)
- Terapia in attesa dell’intervento: alfa-bloccanti (per es. doxazosin), solo successivamente anche beta-bloccanti se necessario. Buona risposta anche con i calcioantagonisti.
- Feocromocitoma maligno: alfa-metil-p-tirosina (inibitore della sintesi delle catecolamine) e chemioterapia. In caso di malattia avanzata o di recidiva è importante conoscere la captazione attiva da parte del tumore di Metaiodobenzilguanidina marcata (131I-MIBG): le forme captanti possono beneficiare della terapia radiometabolica con 131I-MIBG a differenza delle forme non captanti che richiedono chemioterapia secondo schema contenente ciclofosfamide, vincristina e dacarbazina.

Terapia chirurgica. Costituisce la terapia risolutiva; tuttavia prima dell’intervento è necessario garantire una pressione arteriosa minore di 160/90 mmHg ed effettuare una premedicazione con alfa-bloccanti e alfa-metil-p-tirosina. Se l'intervento è effettuato presso centri con elevata esperienza nella gestione preoperatoria, intraoperatoria (anestetica e chirurgica), e postoperatoria, la mortalità è inferiore al 2%. Dopo l’intervento il 75% dei pazienti presenta normalizzazione della PA ed il 25% necessita ancora di terapia antiipertensiva.

Controllo e prognosi. Il follow up viene iniziato 7-10 giorni dopo l’intervento chirurgico con dosaggi seriati delle catecolamine plasmatiche e/o urinarie e dei loro metaboliti; successivamente il controllo viene eseguito annualmente per 5 anni anche in completa assenza di sintomatologia. Nella forma benigna la prognosi è fausta quoad vitam e quoad valetudinem; nella forma maligna è infausta quoad vitam, perché malgrado la terapia chirurgica, radiometabolica e medica, la sopravvivenza dopo 5 anni oscilla fra il 36 ed il 60%.

Wednesday, November 29, 2006

TUMORI DELL’OSSO
Prediligono i maschi, l’età giovanile e le zone metafisarie fertili. La loro diagnosi istopatologica è molto difficile e, poiché sono tumori relativamente rari, esistono pochi centri specializzati nella loro gestione. Si distinguono didatticamente:
- tumori benigni: non danno metastasi, non recidivano dopo asportazione, non si sviluppano tumultuosamente, non invadono i tessuti circostanti e non presentano alterazioni citologiche
- tumori maligni: caratteristiche opposte, danno metastasi (prevalentemente al polmone)
Esistono poi forme a malignità locale e forme benigne che presentano una possibile tendenza alla trasformazione maligna.

Diagnosi. Elementi da considerare per l’orientamento diagnostico:
- età: molti tumori prediligono infanzia ed adolescenza
- sintomatologia: dolore, tumefazione, fratture patologiche
- sede: alcuni colpiscono le epifisi (tumore a mieloplassi), altri la diafisi (sarcoma di Ewing), altri le metafisi (esostosi)
- aspetti radiografici indicativi di malignità: interruzione della corticale, bordi sfumati, scollamento e reazione periostale (interrotta in uno o più punti), accrescimento rapido, alterazione dell’architettura ossea, infiltrazione rapida
- TC e RM: visualizzazione dettagliata del tumore e dei rapporti con le strutture contigue; è fondamentale sapere che con la Rx alcune lesioni, anche molto maligne, possono passare inosservate
- arteriografia: vascolarizzazione del tumore ed eventuali anomalie di decorso delle strutture vascolari provocate dalla massa in espansione
- scintigrafia: in caso di localizzazioni multiple e metastasi
- biopsia: per la formulazione di una diagnosi attendibile

Prognosi. Nei tumori benigni è sempre buona, mentre quelli a malignità locale sono imprevedibili; nei tumori maligni è infausta (sopravvivenza media circa 5 anni).

Trattamento.
Tumori benigni: apertura della lesione, courettage, lavaggio con sostanze che uccidono le cellule tumorali residue (come il fenolo, meglio tollerato dell’azoto liquido), riempimento con innesti ossei autoplastici che prevengono le fratture da carico (prelevati dal grande trocantere, dall’epifisi del radio o dalla metafisi prossimale della tibia) oppure con sostanze in grado di stimolare l’osteogenesi come lo spongostan (tessuto spugnoso usato per arrestare le emorragie). C’è possibilità anche di eseguire innesti ossei eteroplastici ma occorre che il materiale provenga da centri specializzati in grado di certificarne la qualità.
Tumori maligni: radio- e chemioterapia preoperatoria (quando il tumore è sensibile), seguita da resezioni che possono coinvolgere anche i tessuti molli circostanti e richiedere eventuale sostituzione protesica. In passato era abitudine comune effettuare l’amputazione dell’arto in caso di neoplasia maligna, poiché si riteneva che questa fosse la procedura più radicale. Oggi si va sempre più affermando la chirurgia conservativa o “di salvataggio dell’arto”, anche perché si è visto che l’amputazione dal punto di vista neoplastico non è radicale come sembra. Per eseguire interventi conservativi, comunque, occorrono: uno studio accurato TC e/o RMN,una angiografia (in previsione della sezione di vasi, della necessità di confezionare eventuali by-pass, ecc…), l'esecuzione di “resezioni molto generose”, la chemioterapia (adiuvante e neoadiuvante), la disponibilità di protesi “custom-made” (fatte su misura), che nei bambini devono anche potersi allungare nel tempo per assecondare la crescita. La terapia conservativa è ben accetta dal paziente, e dal punto di vista psicologico è una vera e propria panacea. Tuttavia, non sempre è possibile, e in alcuni casi l’amputazione è necessaria ancora oggi.

Tumori metastatici. Derivano generalmente da carcinomi e rappresentano quasi il 50% dei tumori ossei. Le metastasi da carcinoma della mammella sono osteolitiche; compaiono entro 2-5 anni, si localizzano al rachide, al bacino, all’omero ed al femore. Le metastasi da carcinoma prostatico sono invece osteoaddensanti; compaiono entro 2-5 anni dall’inizio del tumore e si localizzano elettivamente alle vertebre lombari dando origine spesso a lombalgie o lombosciatalgie. L’indagine di scelta è la scintigrafia ossea total body; la terapia è a base di antimitotici, RT e resezioni chirurgiche in casi particolari (es. localizzazione al collo del femore). Si operano inoltre le fratture patologiche da metastasi.

Principali tumori ossei primitivi.
1) Osteoma osteoide
Neoformazione benigna di osso sclerotico, solitaria, piccola, ricoperta da periostio. Un tempo era detto “granuloma osteoide” perché si pensava che avesse natura infiammatoria. E’ frequente e colpisce tra 5 e 25 anni. Si localizza nella corticale delle ossa lunghe o nella spongiosa subcondrale delle ossa corte; predilige gli arti inferiori ma può colpire qualsiasi osso. Anatomicamente è caratterizzato da una zona di sclerosi ossea di forma fusata o rotondeggiante; alla sezione si rileva un piccolo nucleo rossastro (nidus dell’osteoma) costituito da tessuto connettivale e da travate di trabecole osteoidi disposte disordinatamente; il tessuto circostante invece è costituito da trabecole stipate (osso compatto sclerotico) ben orientate. Radiograficamente si nota una piccola zona di osteolisi a limiti netti (il nidus) contornata da un alone di sclerosi. L’unico sintomo è il dolore (sordo, cupo, che recede con aspirina). La diagnosi si fa con Rx, TC e RMN a seconda delle necessità; si deve porre dd con l’ascesso di Brodie e con l’osteomielite sclerosante di Garrè. La terapia è basata sul courettage della cavità del nidus (si ripulisce con la fresa come se fosse una “carie”) oppure sull’asportazione di un piccolo tassello osseo contenente la neoplasia. Oggi esistono interventi di chirurgia mini-invasiva: grazie a sonde di ipertermia si può arrivare al nidus e provocarne la distruzione (soprattutto per neoplasie molto profonde).
2) Esostosi osteocartilaginea
E’ il tumore benigno più frequente ed è rappresentato da una proliferazione ossea che si sviluppa sul versante diafisario della cartilagine coniugale. Sono colpiti esclusivamente i soggetti nei quali non sono ancora chiuse le cartilagini epifisarie. Le regioni più frequentemente interessate sono le metafisi del ginocchio, il collo del piede e la spalla. Si presenta come una protuberanza ossea peduncolata o sessile, in continuità con lo scheletro, rivestita da un cappuccio cartilagineo non aderente alle parti molli adiacenti. Sintomi: tumefazione modicamente dolente alla palpazione. Grosse esostosi del ginocchio possono irritare lo sciatico popliteo esterno, con parestesie. All'Rx si manifesta come una estroflessione ossea netta a livello della corticale iuxtametafisaria. L’indagine deve essere estesa ad altri distretti in quanto potrebbe essere espressione della sindrome di Ollier, in cui si possono avere anche fino a 50-60 esostosi, alcune delle quali diventano maligne (condrosarcomi) verso i 40-50 anni di età. Il trattamento consiste nell’asportazione chirurgica.
3) Condroma
E’ un tumore benigno della cartilagine tipico dell’età adulta. Si sviluppa prevalentemente nella cavità midollare delle ossa della mano. Anatomicamente, aperta la corticale assottigliata, si trova un tessuto biancastro, translucido, scarsamente vascolarizzato. Clinicamente si può manifestare con dolore e tumefazione o con una frattura patologica. Radiograficamente appare come una zona di osteolisi, a limiti netti, che interessa la diafisi gonfiando e assottigliando la corticale. La terapia consiste nella apertura della zona osteolitica, nel courettage del materiale neoplastico e nell’eventuale riempimento della cavità residua con innesti ossei autoplastici o spongostan.
4) Angioma
Frequente tumore benigno che colpisce spesso i corpi vertebrali del tratto dorsale o dorso-lombare, e incide massimamente nelle donne sui 30 anni. Clinicamente può decorrere in maniera silente e costituire solo reperto radiografico occasionale; talvolta si manifesta col quadro di una lombalgia. Radiograficamente il corpo vertebrale presenta un caratteristico aspetto “a palizzata”, dovuto all’ispessimento verticale di grossolane trabecole. La terapia è radiante visto che la neoplasia è radio-sensibile.
5) Tumore a mieloplassi (tumore a cellule giganti o osteoclastoma)
Colpisce soprattutto gli uomini tra i 20 e i 40 anni ed ha una evoluzione clinica dipendente dal grado istologico. Prende il nome dalle cellule giganti (mieloplassi) che derivano dalla fusione di cellule monocito-macrofagiche neoplastiche, presenti nel tumore nel contesto di un tessuto fibroso. Si localizza in sede epifisaria con predilezione per il ginocchio ed il polso. Anatomicamente il tumore è rosso scuro per i versamenti emorragici intraparenchimali, e la cavità in cui si sviluppa può presentare delle creste. Lo studio istologico è fondamentale: si va dal I grado (nessuna o scarse atipie, forma benigna) al III grado (forma maligna con numerose atipie, tendente alle recidive locali). La sintomatologia è modesta: dolenzia spontanea e tumefazione epifisaria. Radiograficamente il tumore si presenta come un’area osteolitica a limiti ben definiti con aspetto a “nido d’ape” (dd con cisti aneurismatiche). Il trattamento varia in base al grado: courettage ed innesti ossei autoplastici (grado I), resezione seguita da protesizzazione (grado III).
6) Condrosarcoma
Tumore che produce cartilagine maligna, e che insorge come degenerazione di una esostosi o come tale ab initio. Occorre sospettare la degenerazione di una esostosi quando inizia a comparire dolore (che di solito non c’è), e quando la massa aumenta di volume rispetto ai controlli precedenti. Può essere intramidollare o iuxtacorticale e si presenta in diverse varianti (classica, a cellule chiare, dedifferenziata e mesenchimale). Colpisce le metafisi, mentre risparmia sempre le epifisi. La corticale è erosa, e si può avere invasione dei tessuti molli circostanti. Non è sensibile alla radio- né alla chemioterapia, per cui la sopravvivenza è inferiore rispetto a quella di altri tumori maligni. La terapia è basata su ampie resezioni (in caso di coinvolgimento del bacino può essere necessaria una emi-pelviectomia, così ampia che il chirurgo non deve “vedere la neoplasia”) e instaurazione di “protesi di salvataggio dell’arto”, che evitano l’amputazione anche se poi la mobilità non è completa (si tratta di “protesi vincolate”, più invasive di quelle che si inseriscono per l’artrosi, dato che spesso la resezione di tessuto è molto ampia).
7) Osteosarcoma
È il più frequente tumore maligno dell’osso e colpisce per lo più i maschi tra 10 e 30 anni. La sede d’elezione è la metafisi delle ossa lunghe (inferiore del femore, superiore della tibia e dell’omero) ma non risparmia la diafisi, né le ossa brevi e piatte; invece l’epifisi è sempre risparmiata. Presenta zone di consistenza aumentata (forma osteoblastica) oppure zone di rammollimento (forma osteolitica); le due forme hanno prognosi diversa, perché la forma osteolitica ha decorso più veloce. Istologicamente le cellule hanno carattere maligno (polimorfismo, molte mitosi), e sono presenti aree di necrosi, fibrosi e calcificazione. I sintomi sono dolore, tumefazione, cute calda, aumento VES e alfa- globuline. All'Rx, nella forma osteolitica prevalgono fenomeni di distruzione della corticale; nella forma osteoblastica prevalgono invece fenomeni di proliferazione ossea subperiostale o di spicole ossee perpendicolari alla corticale, che realizzano immagini “a sole radiante”. Tra i due estremi esistono forme intermedie. Possiamo anche distinguere forme periostali (più pericolose, causano erosione circostante) e forme endostali (più benigne). Per la diagnosi sono essenziali TC e RMN per valutare l’interessamento dei tessuti molli e valutare i margini. La scintigrafia è indicata per localizzazioni multiple e in caso di metastasi, che sono frequenti e precoci a livello polmonare. La prognosi è infausta anche se grazie ai progressi della terapia si possono avere buone sopravvivenze (Cht + resezione ampia + Cht per 1 anno).
8) Sarcoma di Ewing
È il più maligno tra i tumori dello scheletro. Ha un accrescimento infiltrante molto rapido e colpisce prevalentemente maschi tra i 5 e i 15 anni di età. Si localizza sulla diafisi o sulla metafisi delle ossa lunghe, soprattutto femore ed omero. Sembra derivare dalle cellule mesenchimali del canale midollare. Il tessuto è gelatinoso, rosso-grigiastro, uniforme dal punto di vista istologico (cellule molto piccole disposte “a rosetta” intorno ai vasi). Sintomi: tumefazione, dolore, febbre, aumento VES, leucocitosi ed anemia. L’arto è caldo e può presentare in reticolo venoso superficiale. Il quadro radiografico presenta reperti molto caratteristici: piccole zone di osteolisi nello spessore dell’osso (“osso tarlato”), reazione periostale, ampiamente e ripetutamente interrotta, strutturata in gusci concentrici “a foglia di cipolla (espressione del ripetuto ma vano tentativo del periostio di opporsi alla diffusione periferica del tumore). Per la diagnosi di certezza è necessaria la biopsia. La diagnosi differenziale va posta soprattutto con l’osteomielite acuta ematogena al fine di non confondere un processo suppurativo con questo tumore. Orientano per l’osteomielite la febbre prima setticemica e poi suppurativa, l’emocoltura, la reazione periostale grossolana non stratificata e soprattutto non interrotta. La prognosi è infausta dato anche il rapidissimo accrescimento. La terapia, in caso di diagnosi precoce, è radiante e medica (radio- e chemiosensibile!!!) ed eventualmente chirurgica, con risultati accettabili.
9) Angiosarcoma
Ha elevata invasività locale e tende a metastatizzare, con conseguente prognosi infausta. Il quadro istologico va da forme ben differenziate a forme indifferenziate.
10) Mieloma
Può essere multiplo (mieloma multiplo) o solitario (plasmocitoma); è una neoplasia delle plasmacellule che interessa prevalentemente l’osso ma può estendersi anche ai linfonodi, alla cute e ad altri tessuti. Sedi più frequenti sono le vertebre, le coste e il cranio; all’Rx si repertano aree di osteolisi a margini netti (“cranio a fora-biglietti”). Per la diagnosi è fondamentale il puntato sternale. Oggi grazie ai progressi della terapia medica e chirurgica si possono avere sopravvivenze molto lunghe (anche superiori a 15 anni), anche in presenza di metastasi polmonari.